La demenza a esordio giovanile rappresenta una sfida emergente, che impatterà sempre di più a livello clinico, sociale ed economico. La malattia porta con sé un carico enorme: non solo in termini psicologici e di equilibri familiari, ma anche economici e lavorativi. Difatti, manifestandosi nel pieno della vita professionale, si abbatte come uno tsunami coinvolgendo diversi aspetti cardine dell’esistenza. Lo scorso 9 aprile un webinar promosso da Federazione Alzheimer Italia “Demenza a esordio giovanile. Cosa fare quando la diagnosi arriva nel pieno della vita” ha affrontato il tema in termini clinici, previdenziali e psicologici, con la testimonianza di Davide Mangani, che ha vissuto sulla propria pelle l’Alzheimer ad esordio giovanile sia del padre che dello zio.
Gli aspetti clinici e i fattori di rischio
Ad aprire l’incontro, moderato da Francesca Arosio, psicologa e psicoterapeuta è stato il Dottor Mauro Colombo, ricercatore volontario in gerontologia clinica presso la Fondazione Golgi Cenci di Abbiategrasso, che ha inquadrato le dimensioni del problema – che in Italia coinvolge oltre 23.700 soggetti – discutendo i fattori di rischio e le principali prospettive di ricerca.
Nel corso delle ultime 3 decadi, la prevalenza della demenza in soggetti di età inferiore a 70 anni è raddoppiata, con una accelerazione del tasso di crescita nel corso dell’ultimo decennio.
La prevalenza stimata è di 7,6 milioni di under65 a livello globale, con un’incidenza di 1,38 milioni nel 2021. Un importante studio pubblicato su Jama Neurology ha identificato i principali fattori di rischio che concorrono all’esordio giovanile della demenza. A pesare sono in particolare un basso status socio-economico e pessimi stili di vita che aumentano il rischio del 440%. Altresì, ad aumentare il rischio anche i disordini mentali, di qualsiasi tipo anche se i soggetti con problemi di natura psicotica risultano maggiormente esposti. Ulteriori fattori di rischio sono rappresentati poi dall’abuso di alcool, dall’isolamento sociale, dalla depressione o dal diabete, solo per citarne alcuni.
Diagnosi tardive e nuovi approcci terapeutici
A preoccupare in particolare il raddoppio di incidenza e prevalenza nell’ultimo trentennio che, associati alla trascuratezza di alcune condizioni dovuta al basso status socio-economico, portano a diagnosi anche molto tardive. La sintomatologia prevalente nelle forme giovanili non coinvolge solo la memoria ma coinvolge altri aspetti: la capacità di orientarsi, di seguire un oggetto…
La ricerca tuttavia progredisce e per quanto si tratti di studi con campioni molto limitati, due ricerche innovative hanno dimostrato l’efficacia dell’uso di stimolazioni transcraniche, magnetiche e ad ultrasuoni, come nuovi approcci terapeutici.
Gli aspetti legali e previdenziali
A fare il punto sull’impatto professionale e previdenziale è stato l’avvocato Giancarlo Esposti, che ha definito l’arrivo di questa condizione come un vero e proprio tsunami per il lavoratore dal momento che incide sia sull’attività manuale sia su quella intellettiva, impedendogli di proseguire nell’attività. Altresì, la maggiore incidenza della malattia in persone con un basso status socio-economico non fa che aggravare situazioni già compromesse. L’esordio giovanile della demenza poi, intervenendo nel pieno della vita lavorativa, impatta drammaticamente anche sul futuro del lavoratore: il soggetto potrebbe non aver maturato gli anni necessari di servizio per la pensione. Per quanto esistano forme di tutela per il lavoratore in caso di disabilità (pensione di invalidità, indennità di accompagnamento, etc), il ricollocamento in azienda nell’Alzheimer o nelle demenze è particolarmente critico trattandosi di patologie degenerative.
Una testimonianza diretta: l’esperienza di Davide Mangani
Davide Mangani, ricercatore immunologo e familiare, è intervenuto portando la sua testimonianza, avendo perso il padre e lo zio a causa della demenza ad esordio giovanile. Al di là dell’aspetto emotivo, Mangani ha sottolineato anche il fattore genetico come possibile elemento di rischio, evidenziando l’importanza di conoscenza ed educazione per generare ‘reti di protezione familiare’ e favorire una diagnosi precoce. Mangani si è soffermato inoltre sul senso di vergogna, la paura del giudizio e quindi la chiusura verso il mondo esterno che la diagnosi di demenza ad esordio giovanile porta con sé, rimarcando l’importanza di reti di supporto reciproco. Nel corso del webinar ha raccontato anche la forza che lo ha spinto a partecipare allo SwissMan, una gara di triathlon estremo. Un’impresa sportiva per rielaborare il dolore per la perdita dei suoi cari e allo stesso tempo sensibilizzare sulle difficoltà e i bisogni di tante famiglie che, come la sua, si trovano a convivere con la demenza. Per questa ragione Davide sta raccontando il suo percorso di allenamento sui suoi canali Instagram e Youtube.