Investire in ricerca, innovazione e diagnosi precoce. Sono le azioni prioritarie e strettamente necessarie per contrastare il tumore ovarico, ad oggi la neoplasia femminile con uno dei più alti tassi di letalità a causa della rilevazione tardiva della malattia, quindi con minori opportunità di cure efficaci e della mancanza di strumenti di screening al pari di quelli esistenti per il tumore del seno o del collo dell’utero, ad esempio.
Lo sottolinea ACTO Italia, Alleanza contro il Tumore Ovarico, in occasione della Giornata Mondiale del Tumore Ovarico (8 maggio), diffondendo stime di malattia ancora poco confortanti.
I dati in Italia e nel mondo
All’incirca 52.800 donne hanno ricevuto nel nostro Paese una diagnosi di tumore ovarico, 5.423 solo nel 2024 (Dati AIOM– I numeri del cancro 2024) e 3.600 sono i decessi stimati. Un quadro critico, che a fronte dei progressi della medicina e della ricerca scientifica, pone ancora il cancro ovarico come uno dei tumori femminili più complessi e letali.
I progressi nel miglioramento dei tassi di sopravvivenza sono stati lenti e la sopravvivenza a 5 anni dalla prima diagnosi non supera il 43%. Dati che sono in linea con le stime diffuse dalla World Ovarian Cancer Coalition, che riferisce solo nel 2022, 324.603 nuove diagnosi di tumore ovarico nel mondo, con previsioni a crescere.
Senza interventi adeguati, si ipotizza che i casi di malattia, entro il 2050, saliranno a circa mezzo milione con un incremento di +55% e l’incidenza maggiore riguarderà Asia e Africa, con sensibili impatti anche sulla mortalità, passando dagli attuali 206.956 casi del 2022 agli oltre 330 mila nel 2050, pari a un incremento di oltre il 65%. Anche l’Europa non è esente da questo trend: si prevede una incidenza di +8% (da 69,472 casi a 75.570) e di un indice di mortalità di +19% (da 46.232 casi a 55.124).
Dati che richiamano a una Call to Action a tutti i Governi a investire in maggiori risorse per migliorare la prevenzione, la diagnosi e il trattamento del tumore ovarico. Migliori che devono riguardare anche l’organizzazione ospedaliera al fine di garantire a tutte le donne malate un accesso equo alle cure.
La ricerca in Italia
Lavora in maniera proattiva in ambito di diagnosi precoce, per sopperire all’attuale assenza di programmi di screening efficaci.
«Il 70-80% dei tumori ovarici viene diagnosticato in stadio avanzato, perché non esiste un test di diagnosi precoce. A riguardo stiamo conducendo un progetto di ricerca – spiega Maurizio D’Incalci, Professore Humanitas University – finanziato principalmente dalla Fondazione Alessandra Bono e da AIRC – partendo dall’ipotesi che nelle fasi iniziali del tumore ovarico il DNA tumorale possa arrivare al canale endocervicale e quindi essere rilevabile nel PAP test. Abbiamo analizzato 250 PAP test eseguiti fino a 10 anni prima della diagnosi e grazie al sequenziamento del DNA, abbiamo potuto rilevare alterazioni tumorali presenti già nove anni prima della diagnosi, solo nelle pazienti malate e non nelle donne sane. Per confermare queste importanti evidenze preliminari stiamo ora estendendo lo studio a migliaia di casi in tutta Italia, coinvolgendo 50 strutture e utilizzando il machine learning, con l’obiettivo di sviluppare in un prossimo futuro un test di diagnosi precoce».
Anche in ambito terapeutico il tumore ovarico mostra delle criticità, fra queste la resistenza alla chemioterapia: aspetto su cui è in corso uno studio che verrà presentato al Congresso Mondiale ASCO (Società Americana di Oncologia Medica), a inizio giugno a Chicago.
«Si tratta di uno studio internazionale sul tumore ovarico resistente al platino – dichiara Domenica Lorusso, Direttore Unità Operativa Ginecologia Oncologica Humanitas San Pio X – frutto della collaborazione tra Europa, Stati Uniti e Paesi asiatici. Lo studio ha dimostrato che la chemioterapia combinata a un farmaco innovativo che agisce sui meccanismi attivati dal cortisolo, porta a un significativo aumento sia della sopravvivenza libera da progressione che della sopravvivenza globale, rispetto alla chemioterapia da sola. Si tratta di un risultato promettente per le pazienti resistenti alla chemioterapia, tra le più difficili da trattare. Un ulteriore successo della ricerca che apre nuove prospettive di cura».
Il ruolo cruciale dei centri di riferimento
Nel tumore ovarico la sopravvivenza non dipende soltanto dalla precocità della diagnosi, ma anche e sempre più dalla qualità delle cure erogate e ricevute dalla paziente; da qui l’importanza di rivolgersi a centri di riferimento di alta specialità.
«Negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione nella cura del tumore ovarico, con l’arrivo delle terapie innovative che hanno portato notevoli vantaggi alle pazienti. Tuttavia, i dati AIOM 2024 attestano ancora una sopravvivenza netta a 5 anni al 43% – conclude Nicoletta Colombo, Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica Istituto Europeo di Oncologia di Milano. Numerosi studi di popolazione hanno dimostrato che l’expertise chirurgica e un approccio multidisciplinare al trattamento del tumore ovarico in centri ad alto volume portano a risultati in termini di sopravvivenza libera da malattia e sopravvivenza globale significativamente migliori rispetto a quelli di pazienti trattate in centri a basso volume. In funzione di questi dati, l’organizzazione della presa in carico delle pazienti con tumore, specificatamente ovarico, va ripensata in questi termini, andando a identificare i centri ad alta specialità che rispondono ai criteri indicati dalla Società Europea di Ginecologia Oncologica. Anche qui dobbiamo avere il coraggio di cambiare lo status quo».
È inoltre necessario che in tutte le regioni sia presente e attivato un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico), specifico per il questa neoplasia, e che all’interno delle strutture di alta specialità sia presente anche un Molecular Tumor Board, cruciale per la definizione del migliore percorso di cura della donna con tumore ovarico.