La Malattia di Huntington – inserita nell’elenco delle malattie rare dell’Istituto Superiore di Sanità – è un’affezione ereditaria del Sistema Nervoso Centrale che determina una degenerazione dei neuroni dei gangli della base e della corteccia cerebrale.
L’esordio è in genere tra i 30 e i 50 anni (rare le forme giovanili) e il decorso è lentamente progressivo e fatale dopo 16-20 anni.
Questa malattia neurodegenerativa ha carattere ereditario autosomico-dominante, ciò significa che la probabilità di ereditare il gene della corea da un genitore malato è del 50% e che tale probabilità è uguale tra maschi e femmine.
La malattia si manifesta in età adulta con un lungo corteo di sintomi, dai classici movimenti involontari, fino ai disturbi dell’andatura e dell’equilibrio, alla disfagia e disartria; alcune persone presentano però anche sintomi di tipo psichiatrico (depressione, impulsi suicidi) o cognitivo.
Le manifestazioni cliniche della malattia variano da individuo a individuo ed è possibile individuare i portatori tramite un test genetico predittivo, ma, aldilà di farmaci in grado di attenuare i sintomi, non esiste ad oggi una cura risolutiva.
Diffusione della malattia
Secondo le stime dell’Università della British Columbia, i casi di Huntington sono in aumento. L’incidenza epidemiologica della malattia è stata calcolata di circa 1 caso ogni 10.000, ma studi recenti tendono ad aumentare tale incidenza fino a 12,3 malati ogni 100.000.
Per un valido supporto
Per supportare i malati e i loro familiari (il caregiver è infatti quasi sempre una persona di famiglia) e migliorare la qualità dell’assistenza, nel 2018 è nata l’associazione HUNTINGTON Onlus – La rete italiana della malattia di Huntington, operante su tutto il territorio nazionale, che, oltre a fornire un sostegno psicologico, organizza iniziative di informazione, rete e sensibilizzazione, allo scopo di diffondere la conoscenza degli interventi riabilitativi, della loro importanza e necessità, in affiancamento ai più noti trattamenti farmacologici.

L’evento
Lo scorso 8 giugno, a Milano, con il patrocinio di O.Ma.R – Osservatorio Malattie Rare e Alleanza Malattie Rare, l’associazione ha presentato l’evento “Huntington: corpo e mente. Fisioterapia, logopedia e stimolazione cognitiva”. Dopo un’introduzione teorica, le professioniste intervenute all’incontro hanno condiviso alcuni consigli utili e buone prassi per la gestione quotidiana della malattia, al fine di aiutare pazienti e caregiver nel processo di stimolazione cognitiva, motoria, logopedica e gestione dello stress e salvaguardarne il più possibile autonomia e benessere.
I due ambiti della malattia
Ad aprire i lavori e a moderare Cristina Zanoni, Vicepresidente dell’associazione, che, dopo aver introdotto mission e valori della onlus, ha sottolineato l’importanza di informare rispetto a terapie e percorsi di cura non farmacologici (come il trattamento cognitivo) che, in sinergia con quelli farmacologici, sono capaci di alleviare la sintomatologia della malattia.
Una malattia che interessa sia il corpo e le capacità motorie, sia la mente e che per questo necessita del coinvolgimento di diverse figure professionali, in grado di guidare e offrire la giusta assistenza al malato. Il dibattito è pertanto stato diviso in due parti: la prima dedicata all’impatto dell’Huntington su movimento ed equilibrio, voce, respirazione e alimentazione e la seconda che ha spiegato la malattia dal punto di vista dei sintomi cognitivi e delle alterazioni delle funzioni mentali coinvolte.
Huntington & movimento
A introdurre la parte relativa al corpo, Immacolata Murru (intervenuta tramite video ndr), Fisiatra e Dirigente medico presso l’Istituto Auxologico Italiano San Luca di Milano, impegnata nella valutazione, impostazione e gestione del trattamento riabilitativo di pazienti affetti da disabilità neuromotorie derivanti da patologie neurologiche e/o muscoloscheletriche, che ha descritto la Corea di Huntington come una patologia genetica rara a trasmissione ereditaria AD, che porta a una progressiva degenerazione dei neuroni cerebrali, soprattutto del nucleo striato e della corteccia cognitiva, e si manifesta con sintomi sia di tipo motorio (come i movimenti involontari) sia cognitivi, comportamentali/emotivi.
Il fisiatra può intervenire attraverso dei trattamenti riabilitativi che aiutano il paziente a raggiungere/mantenere il miglior livello di autonomia possibile sul piano fisico, funzionale, sociale, intellettivo, emozionale e relazionale. La presa in carico riabilitativa presso centri specializzati in Neuroriabilitazione dovrebbe avvenire il prima possibile dopo la diagnosi e la frequenza e la durata del trattamento variano da caso a caso.
Il trattamento riabilitativo
A spiegare ruolo e valenza del trattamento riabilitativo è stata la Fisioterapista e Osteopata Roberta Landoni, che ha sviluppato il tema insieme alla Logopedista Nicole Pizzorni.
«L’importanza della riabilitazione – ha spiegato Landoni – è legata al fatto che l’allenamento motorio può avere un impatto positivo sull’insorgenza e la progressione della malattia. In particolare, la riabilitazione multidisciplinare ha mostrato una riduzione dello stress ossidativo e della neurodegenerazione associata e un aumento del volume del caudato destro e della corteccia prefrontale dorsolaterale».
Ci sono 4 fasi nel decorso della malattia: pre sintomatica, iniziale, intermedia e avanzata. Nella fase pre sintomatica iniziano a manifestarsi sintomi a livello motorio (es. alterazioni nel cammino, in termini di equilibrio e resistenza) e problemi cognitivo-comportamentali (es. depressione, apatia, disturbi del sonno).
Tali sintomi diventano più importanti nella fase iniziale (aprassia, difficoltà nella deambulazione e nella manualità fine, rallentamento nell’esecuzione delle attività quotidiane) e si acuiscono ulteriormente nella fase intermedia (aumento dei movimenti coreici e distonie, scarso equilibrio, difficoltà respiratorie, disfagia e disartria) e in quella avanzata (limitato controllo volontario di arti e tronco e limitato range articolare).
Vi sono diverse strategie utili per ogni fase della malattia, che interessano sia l’alimentazione sia il movimento (allenamento aerobico, forza equilibrio), come pure esercizi mirati, sempre con un approccio multidisciplinare.

Un doppio supporto
Logopedista e ricercatrice Nicole Pizzorni, specializzata in Difficoltà nella deglutizione, presso l’Ospedale Sacco. La malattia di Huntigton comporta in genere problemi di disfagia e disartria, come pure alterazioni nella masticazione oltre che della salute orale.
A ciò si aggiungono i movimenti coreici che vanno a interessare la lingua, ma anche i muscoli faringei e laringei. Per questo è importante l’appoggio del logopedista che fa una valutazione insieme al foniatra che, tramite una fibroscopia, può vedere cosa capita internamente, durante la fase deglutitoria.
È sicuramente consigliabile fare una valutazione logopedica, seguita da valutazioni periodiche, laddove insorgessero delle difficoltà a parlare, deglutire o mangiare, oppure in caso di infezioni respiratorie di origine non nota (dovute al fatto che il cibo, invece di andare nell’esofago, va in trachea e nei polmoni).
In particolare, vi sono alcuni campanelli d’allarme come tosse, voce gorgogliante, perdita di cibo dalla bocca, sensazione di cibo fermo in gola… Per gestire al meglio tali problemi e mantenere un adeguato apporto nutrizionale e idrico, evitando possibili complicanze, il logopedista può fornire al paziente alcuni consigli mirati, ad esempio ridurre la dimensione degli alimenti (dal singolo boccone, alla quantità di cibo in bocca o del pasto stesso), addensare l’acqua e bere liquidi solo lontano dai pasti, o, infine, assumere posture del capo facilitanti; altre strategie utili riguardano la modificazione degli alimenti e dell’ambiente e curare l’igiene orale.
Per quanto riguarda invece il problema nel parlare vi sono alcuni consigli (su respirazione, movimento di lingua e bocca, parlare lentamente) ed esercizi di articolazione che possono aiutare molto soprattutto nelle fasi iniziali della patologia.
Huntington & mente
A introdurre la seconda parte, focalizzata sulla stimolazione cognitiva e sulla “manutenzione” e mantenimento delle funzioni mentali, la neuropsicologa e psicoterapeuta (specializzata in Psicoterapia Cognitiva e Cognitivo-Comportamentale), nonché Presidente dell’associazione Huntington Onlus Elisabetta Caletti.
«Fin dal momento della diagnosi, per vivere una buona vita personale e relazionale, è fondamentale il mantenimento di funzioni e abilità quali l’attenzione, la memoria, l’astrazione, la pianificazione e della realizzazione di progetti, ossia le cosiddette funzioni esecutive. Accanto a farmaci e terapie, un management ottimale è dato infatti da un opportuno “trattamento cognitivo” da parte di un neuropsicologo, anche se, ad oggi, la riabilitazione cognitiva – che ha prodotto buoni risultati in altre malattie neurodegenerative – è stata sperimentata solo in misura molto limitata nella malattia di Huntington. Oltre a implementare un protocollo di intervento sulle abilità cognitive, il neuropsicologo può chiedere una consulenza allo specialista psichiatra per trattare ansia e depressione, o altri disturbi psichiatrici presenti, così che possa intervenire in modo specifico per ciascun caso. Inoltre, uno psicoterapeuta opportunamente formato nella malattia potrà essere d’ausilio per integrare gli interventi di stimolazione cognitiva e introdurre, dove raccomandato, tecniche sulla consapevolezza».

Riabilitazione funzioni cognitive
Le abilità cognitive sono fondamentali per consentire la realizzazione di compiti complessi nella vita quotidiana. Ne parlano la psicoterapeuta e ricercatrice Chiara Pagliari e la neuropsicologa Francesca Siri, che introducono anche il progetto “Il movimento della mente: prendersene cura in attesa di una cura”, stimolazione cognitiva digitale per svolgere gli esercizi cognitivi a distanza attraverso l’uso di uno speciale strumento.
«Quando parliamo di stimolazione cognitiva – spiega Francesca Siri – parliamo di una serie di attività che vanno ad allenare e potenziare sia le funzioni cognitive ancora valide, sia riabilitare quelle alterate o non funzionanti. Tutte le nostre funzioni cognitive sono interconnesse fra loro e sono subordinate a delle capacità cognitive di alto livello, dette funzioni esecutive. Queste ultime entrano in gioco nel momento in cui abbiamo un obiettivo da raggiungere: si parte dalla pianificazione, alla flessibilità cognitiva (ossia la capacità di generare delle soluzioni per risolvere un problema), all’attenzione, alla memoria, alla capacità di inibizione, alla capacità di esecuzione. In tutto questo procedimento c’è una sotto componente delle funzioni esecutive, chiamata “monitoraggio”, che è sempre presente e va a supervisionare ogni attività e, se c’è qualcosa che non va, essa ci avvisa così che noi possiamo risolvere e riprendere correttamente il ciclo. Quindi allenando le funzioni esecutive, di fatto noi andiamo ad allenare tutte le altre funzioni cognitive subordinate. Per potenziare le funzioni esecutive è utile un percorso di stimolazione cognitiva strutturato da un neuropsicologo, ma esistono anche una serie di esercizi utili da affiancare a una routine settimanale, da svolgere in coppia (paziente e caregiver/familiare). Oltre ad allenare le funzioni esecutive, per trovarci in uno stato mentale che ci consenta di dare il nostro meglio dal punto di vista cognitivo occorre cercare di ridurre lo stress prendendoci del tempo per noi stessi, facendo un po’ di rilassamento e concentrandoci sulla respirazione, tramite specifici esercizi».

Esperienza di Torino
«Combinando questi due aspetti – spiega Chiara Pagliari –, ossia potenziando le funzioni esecutive insieme alla parte di respirazione e cura di se stessi, l’associazione Huntington onlus ha dato il via a un’esperienza, ormai giunta al 2° anno, che prende il nome di Esperienza di Torino. Si tratta di un gruppo di malati di Huntington in presenza a cui si affianca di un gruppo di supporto AMA con i loro familiari. Ciò avviene 1 volta al mese in cui si riuniscono discutendo di alcuni punti, poi si fa una pratica mindfulness insieme. Dopodiché c’è una divisione in 2 gruppi: quello delle persone malate che, insieme a noi 3 psicologhe, fa una sessione di gruppo di 45 minuti di stimolazione cognitiva e contemporaneamente i familiari fanno il gruppo AMA di sostegno con un’altra psicologa dell’associazione per 45/50 minuti di attività. L’aspetto interessante è stato proprio il fatto di mettere insieme i malati con i familiari, proprio perché questa è una malattia familiare e quindi la presa in carico deve essere “familiare”. Sulla base di questa esperienza abbiamo pensato di andare a progettare un intervento che vogliamo finanziare attraverso un bando di ricerca che consiste nel fare una stimolazione cognitiva ma con un occhio diverso, raggiungendo il maggior numero di persone possibile attraverso l’uso del digitale, ossia di uno strumento chiamato Neurotablet, per andare a lavorare sulle funzioni cognitive. L’idea è di andare a lavorare su un gruppo di 30 persone che si ritrovano in una fase lieve o moderata della malattia e sottoporli ad esercizi di potenziamento cognitivo, con il Neurotablet, in modalità di teleriabilitazione, cioè con lo psicologo o neuropsicologo da remoto, così da poter seguire anche più persone. Il trattamento dura 30/45 minuti, flessibile in base alle capacità della persona, 2 volte alla settimana, per 6 settimane, ossia 12 incontri. È importante la frequenza perché nelle funzioni cognitive prima si interviene e meglio è, tanto che sarebbe opportuno allenarci e potenziare le nostre abilità anche prima che si manifestino i sintomi. Il Neurotablet presenta 30 esercizi di stimolazione cognitiva con 10.000 livelli di difficoltà personalizzabili e offre due importanti vantaggi: consente la comunicazione terapeuta-paziente da remoto e permette il monitoraggio dell’attività del paziente, così che il terapeuta può vedere i suoi progressi nella terapia riabilitativa. Nel nostro progetto, infine, offriamo un supporto psicologico anche ai familiari sulla falsa riga del gruppo AMA di Torino, supporto sia di gruppo, sia individuale (se richiesto)».
