Si sono aperti, a Milano, i lavori del Milan Longevity Summit (21-22 marzo) che ha richiamato nel capoluogo lombardo, capitale della scienza, i massimi ricercatori internazionali impegnati in studi di frontiera sulla biologia dell’invecchiamento e del ringiovanimento cellulare.
Scoperte che, nell’arco di una ventina d’anni, promettono potenzialmente di poter cambiare la storia di molte patologie legate alla senescenza delle cellule e di accorciare il divario, ancora importante, tra life span (allungamento della vita media) e health span (vita in salute). Un invecchiamento in quantità e qualità della vita, ritardando l’insorgenza di patrologie neurodegenerative e non solo.
Cellule staminali pluripotenti indotte
Grandi attese e speranze di cura sono riposte nello sfruttamento delle cellule iPS (induced Pluripotent Stem Cells). Sono così definite le cellule che vengono “riprogrammate” per generare da una cellula staminale base, generalmente fibroblasto, la cellula che si può isolare dalla cute, quindi facile da raccogliere e da coltivare in vitro, ogni cellula del corpo – cardiaca, cerebrale, epatica, ovarica, ed ogni altra tipologia – inserendo all’interno 4 geni (Oct3/4, Sox2, Klf4, c-Myc), detti “Yamanaka factors”. Così facendo la cellula staminale adulta si trasforma in una cellula staminale pluripotente sostanzialmente identica ad una cellula staminale embrionale. Dunque giovane, all’età zero, superando tutti i problemi etici legati all’utilizzo degli embrioni.
Le iPS, generate per la prima volta nel 2006 da Shinya Yamanaka, Premio Nobel per la Fisica e medicina nel 2012, potrebbero presto diventare una terapia. Lo scienziato ha, infatti, scoperto tre tecnologie – da donatore omozigota di HLA, tramite editing del gene CRISPR-Cas9 osì da rendere le cellule invisibili al sistema immunitario ed evitare problemi di rigetto tipici del trapianto, o con una strategia di HLA-C iPs – per poterle trasformare in potenziali terapie impiegabili nelle patologie dell’invecchiamento.
Fra queste la perdita di vista, diabete, disturbi ematologici e malattie cardiovascolari, malattie infiammatorie e neurodegenerative, ma anche per riparare i tessuti danneggiati. Tecnologie che andranno valutate anche in termini di costi al fine di rendere questi approcci accessibili al più largo numero di pazienti/persone possibili.
L’ovaio, il segreto della longevità
La perdita di ovociti rappresenta un problema cruciale sia per la donna in cerca di una gravidanza, sia in un contesto di invecchiamento. Recenti studi sull’ovaio in cui risiedono le cellule uovo, responsabili del non invecchiamento della specie, condotti da Vittorio Sebastiano, biologo, all’Università di Stanford, stanno dimostrando un legame diretto tra invecchiamento ovarico e invecchiamento generale nella donna, facendo osservare che più si ritarda la menopausa, migliore è la qualità dell’invecchiamento e maggiore è l’aspettativa di vita.
Sulla base della relazione tra cellule uovo ed embrionali, il professore Sebastiano sta sviluppando studi per comprendere i meccanismi che impediscono la trasmissione verticale dell’invecchiamento, al fine di poterlo applicare al resto del corpo, tramite l’applicazione di un paio di possibile tecnologie: la prima legata all’utilizzo di cellule staminali pluripotenti indotte creando nuovi tessuti ovarici, con la prospettiva di potere essere trapiantati in futuro nell’organismo della donna per sostituire o “complementare” l’ovaio invecchiato, la seconda una riprogrammazione parziale, sull’ovaio, senza alterarne l’identità, per consentire all’organo di continuare a svolgere la funzione originale.
L’invecchiamento dei telomeri
Le evidenze delle ricerche condotte da Fabrizio d’Adda di Fagagna, biologo cellulare esperto in processi di invecchiamento delle cellule e a capo del Laboratorio Unità di ricerca Risposta al danno al DNA e senescenza cellulare di IFOM (Istituto FIRC-AIRC di Oncologia Molecolare), suggeriscono che l’accorciamento, quindi il danneggiamento e la disfunzione telomerica siano legati a segnali di allarme molecolare, perennemente accessi.
In particolare la disfunzione telomerica sembra direttamente correlata a degli Rna telomerici, che vengono sintetizzati e si accumulano solo nel momento in cui i telomeri subiscono un danno. Pertanto sulla base di questi segnali presso il laboratorio di d’Adda di Fagagna si stanno disegnando delle molecole antisenso, complementari a questi Rna telomerici, cui si legano in maniera selettiva, al dine di poterli inattivare, innescando una serie di azioni positive: spegnere l’allarme molecolare, ridurre la senescenza così come le citochine proinfiammatorie, quindi le conseguenze della disfunzione telomerica e la patologia. Un approccio che avrebbe dato prova di efficacia nel trattamento di diverse malattie dell’invecchiamento tra cui la Sindrome di Hutchinson-Gilford, patologia che insorge in età pediatrica accelerando l’invecchiamento fino a fare sembrare i bambini degli anziani.
Riqualificazione degli Rna
Gli ultimi studi di Valerio Orlando, Professore di epigenetica e capo del programma di ricerca sull’epigenetica ambientale della KAUST, University King Abdullah per la Scienza e la Tecnologia, Arabia Saudita, stanno riqualificando il ruolo e la “dignità” delle sequenze ripetute di Rna. Considerate fino a 15 anni fa come Dna spazzatura, prime evidenze mostrano che codificando alcuni specifici Rna, questi possono essere impiegati nella riparazione tissutale.
È una scoperta ancora molto agli inizi, ma dalle applicazioni enormi: il proseguo degli studi potrà chiarire come e se poter portarla in clinica, offrendo risposte su possibili approcci sull’invecchiamento cellulare.
«Ci dobbiamo attendere nei prossimi 10-15 anni a una importante rivoluzione in ambito di medicina della longevità e medicina rigenerativa. Si tratta di tecnologie innovative – sottolinea Alberto Beretta, immunologo ed esperto di medicina della longevità, Direttore scientifico di SoLongevity e Presidente del comitato scientifico del Milan Longevity Summit – tutte potenzialmente applicabili a persone affette da specifiche patologie legate all’invecchiamento o a persone sane per favorire una vita longeva e più in salute».
Orologi di metilazione del DNA, Intelligenza artificiale e nuove tecnologie
Misurare l’età cronologica e quella biologica, quindi predire il potenziale rischio di incorrere in patologie tipiche dell’invecchiamento, non è un traguardo così remoto. Lo sviluppo di specifici orologi, basati sull’invecchiamento del volto, stanno consentendo di stimare tramite l’innalzamento o l’abbassamento della temperatura in determinati punti del volto, quali la zona peri-nasale e perioculare, incrociata ad altri parametri come specifici biomarcatori, fattori genetici e stili di vita, di predire potenzialmente il rischio di TIA, stroke o di altre problematiche dell’età che avanza.
La riconversione di farmaci esistenti verso nuove indicazioni terapeutiche, quali ad esempio i GLP-1 impiegati nella cura del diabete mellito di tipo 2, stanno consentedo di trattare anche altre patologie, quale l’obesità. L’intelligenza Artificiale, con l’analisi dei mole enormi dati sta permettendo di passare da una medicina “one treatment fits for all”, a una medicina di precisione, basata sul profilo del paziente, trattamenti erogati al momento giusto e alla persona giusta, migliorando la qualità e l’efficacia della cura.
I progressi della ricerca stanno poi favorendo lo sviluppo di una Epigentic Intelligence, legata all’esposoma e ai fattori ambientali che impattano sull’invecchiamento cellulare e a una Aging Intelligence, un “collante fra generazioni” che interagisce con l’intelligenza emotiva, alla base delle relazioni umane, con l’intelligenza naturale, quella degli esseri umani e, più in generale, degli esseri viventi, con l’Intelligenza artificiale, della compute science e delle scienze cognitive e con l’intelligenza collettiva che emerge da dialogo e dall’interazione tra agenti umani e artificiali.
Salute mentale
La tutela e la protezione della salute mentale deve essere una priorità dei governi, delle politiche, dei decision maker: senza salute mentale, non esiste la salute. Le malattie del cervello costituiscono un problema di grande rilevanza per il forte impatto sanitario, sociale ed economico che grava sui sistemi, sui pazienti, sulle famiglie, sui care-giver, sulla collettività. La crescita dei problemi mentali fa emergere l’urgenza di promuovere la ricerca in ambito di neuroscienze, di definire azioni programmatiche, di implementare l’innovazione.
Ciò ha spinto l’European Brain Council, a fine del 2019, a avviare un progetto di coordinamento fra i principali stakeholder europei, definendo una Shared European Brain Research Agenda (SEBRA), per garantire la collaborazione a livello europeo e globale sulla Brain Health. T
ra i principali obiettivi: favorire l’innovazione, l’accesso e la sostenibilità delle cure, promuovere partnership Pubblico-Privato, favorire la rivoluzione digitale, tecnologica e la condivisone di dati nella cura e nella prevenzione, sviluppare la Promixity Care e l’evoluzione di modelli organizzativi, incentivare l’empowerment dei pazienti. Non ultimo, agire per l’abbattimento della povertà e lo sviluppo dell’istruzione determinanti cruciali di salute e longevità.